Andiamo ai fondamentali

Flavio Boscacci

Per alcuni, come il sottoscritto, il dibattito politico ed economico quotidiano è fonte di qualche forma di depressione culturale e morale. Induce a pensare che si debba guardare oltre e, semmai, spendere il proprio impegno per un dibattito di lungo corso, anche ricorrendo agli amati fondamentali dell’economia e della società.
Al contempo, c’è anche una forte necessità di sintesi dei concetti utili per le nuove generazioni, i cui attuali componenti non hanno invero la fortuna di accedere ad una vera istruzione e sono condannati alla frenesia quotidiana di mercati un po’ impazziti, dominati più dalla fredda finanza che dall’economia reale. E non sembri passatista ricordare che Adam Smith, oltre alla sua magnifica “Indagine sulla natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni”, pubblicata nel 1776, dette alle stampe la “Teoria dei sentimenti morali” in cui tratta della moralità e dell’empatia con le quali gli individui si rapportano tra loro e con la società.
Vediamo di produrre in questa pagina uno di questi pensieri sintetici, sicuramente discutibile e quindi, si spera, didatticamente utile.
Mi piace per questo ricorrere alle Lettere Encicliche dalla “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII alla “Laudato sì” di Papa Francesco perché credo che nel lungo periodo siano quelle da loro indicate le vie che sperabilmente seguiremo. Tra l’altro, “l’ardente brama di novità” e la “salvaguardia del creato” che sono le parole chiave dei documenti citati sono ancora di pressante attualità. Basta aggiornarne i termini rispettivamente con “innovazione” e “sostenibilità”.
All’epoca di Leone XIII, siamo negli anni ’80 del XIX secolo, la questione sociale era quella della nascente “lotta di classe” tra capitalisti e proletariato, con l’adesione di una parte crescente di questi ultimi alle tesi economico-politiche di Marx che, per contrastare (a suo dire) la parossistica concentrazione del capitale, incitava i lavoratori a unirsi e a lottare fino all’affermazione della “dittatura del proletariato”. David Ricardo, a cui peraltro Karl Marx si ispirava nei fondamentali economici, vedeva invece nella crescita esponenziale delle rendite la vera malattia del capitalismo, malattia che col passare del tempo avrebbe schiacciato sia i profitti dei capitalisti che i salari dei lavoratori.
L’ideologia sfociò in un confuso rivoluzionarismo e in una sua applicazione su grande scala (Unione Sovietica) dagli esiti più che perversi. La tesi di Ricardo fu subito affiancata, e in alcuni casi anticipata, da numerosi esponenti della scuola italiana di economia e finanza, da Pietro Verri ad Achille Loria e De Viti De Marco. Loria, ad esempio, così scriveva nel 1910: “La vera scissione basica delle due classi della ricchezza, che nella storia della civiltà traccia il solco indelebile di tutte le vicende umane, è quella esistente tra la classe dei proprietari terrieri e la classe dei capitalisti aventi interessi antitetici ed opposti, e quindi in perenne conflitto”.
E che cosa dice oggi Papa Francesco? Dice che il denaro, come già nella Bibbia quando si tratta di interessi e di usura, è un “demone corruttore” quando, come oggi avviene, si verifica il prevalere della finanza sull’economia reale. In altri termini, secondo Papa Francesco, assieme ormai a molti economisti contemporanei – da Piketty a Sachs – si materializza di nuovo la previsione di Ricardo circa la compressione dei profitti e dei salari a favore delle rendite.
Non si tratta dunque di demonizzare il sistema economico, ma un suo anomalo comportamento, quello che negli ultimi decenni ha portato alla creazione dell’industria della finanza, un settore che ha un suo proprio funzionamento di mercato autonomo, quando invece dovrebbe essere solo funzionale all’economia reale, in un rapporto ragionevole che faccia delle rendite finanziarie una frazione del monte “profitti + salari” e non un multiplo. Ma questo oggi è, e il fatto che i capitali rappresentati nella proprietà di molte grandi e medie imprese siano di origine finanziaria (banche e fondi) non fa che confermare la tendenza alla finanziarizzazione del sistema e quindi delle aspettative di ritorno a breve dei capitali, mentre l’impresa di produzione e il lavoratori hanno assoluto bisogno di orizzonti programmatici di lungo termine.
Poi c’è la questione della salvaguardia del creato (o della sostenibilità ambientale, se si preferisce). Le imprese della finanza tendono a non vedere gli effetti dei loro investimenti sui produttori, sui consumatori e sull’ambiente. Rinchiusi in alte torri, i loro manager sono troppo spesso lontani dai problemi reali delle imprese e dei lavoratori. Diverse invece sono le condizioni di chi opera nella società e tocca con mano l’impatto delle proprie azioni, sia quando produce che quando consuma.
Per tutti questi motivi è assolutamente necessario riequilibrare il sistema tra parte economica e parte finanziaria. Già, ma chi lo può fare se debiti privati e debiti sovrani crescono nel mondo in modo poco controllabile? Qui si entra nel campo delle Istituzioni e della Politica e le ricette appaiono molto eterogenee se non addirittura contrastanti. Ma è proprio per questo che occorre ritornare ai fondamentali delle scienze sociali e della morale pubblica. La teoria dei sentimenti morali di Adam Smith e la Dottrina Sociale della Chiesa sono ancora strumenti utili? Probabilmente sì.

L'incontro si terrà in ALDAI
sala Viscontea Sergio Zeme - via Larga 31 – Milano


Mercoledì 23 gennaio 2019 alle ore 17.30
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