La radice degli stereotipi

Dalla leggenda di Agnodice ai giorni nostri: la femminilità è un valore aggiunto e fa la differenza in ogni tipo di professione. Visione d’insieme, coraggio e consapevolezza, ecco cosa serve oggi alle giovani donne

Cristina Dell'Acqua

Insegnante e responsabile progetti culturali presso il Collegio San Carlo di Milano, autrice  
Gli stereotipi sono duri a morire, specie quelli secondo cui noi donne non siamo portate per le discipline scientifiche. Quando Firmin Didot nel 1795 brevettò il metodo di stampa per ottenere una composizione tipografica fissa, inventò una parola greca per definirlo, stereotipo. L’idea fu geniale per il mondo dell’editoria.

Ma le parole a volte prendono una strada tutta loro, per questo bisogna maneggiarle con cura. Certo Didot non poteva immaginare che il suo neologismo creato con due parole greche (stereos, rigido, typos, tipologia, immagine) nel nostro linguaggio quotidiano avrebbe creato un nemico duro da vincere.  Ma le aule delle scuole (forse più ancora delle famiglie) sono il luogo perfetto per smontare pezzo a pezzo tutti gli stereotipi: un gruppo di giovani che condivide ogni giorno le proprie specificità (fragilità comprese), tutti accomunati dal difficile viaggio verso sé stessi (il più importante della loro vita) in un terreno neutro. E la cultura è un ottimo antidoto.

I sogni non hanno sesso. Anzi, dovrebbe esistere una parità dei sogni, non dovrebbe quindi sussistere la necessità di lottare per una parità dei sessi.

Ogni mattina, a scuola, per duecento giorni all’anno si può fare molto perché questo accada. Partiamo dalla cosa più semplice, la quotidianità di tutti gli insegnanti che usano le proprie discipline per iniziare alla vita i propri studenti. La filosofia antica, ad esempio, ci insegna come sia la meraviglia a rendere attraente ogni forma di sapere. Si conosce e si studia a fondo solo ciò che ci meraviglia, una parola bellissima, ci colpisce all’improvviso ed è la porta attraverso cui entrano in noi tutte le conoscenze che ci rendono liberi. Tendiamo poi ad amare quello che ci ha meravigliato.

Il tema non è quante ore dedicare a scuola alla matematica, quante alla letteratura, alla fisica o alla filosofia. Il sapere gli antichi lo intendevano come unico, e ogni disciplina contribuisce a costruire uno sguardo d’insieme sul mondo e su sé stessi. Platone e Aristotele sarebbero i primi ad aggiungere la A di Arts all’acronimo Stem, che senza quella lettera ha alcune diottrie in meno per vedere a fondo la complessità della realtà fatta di dettagli, parole e pensieri precisi.  E questo a dispetto delle percentuali che tanto penalizzano le iscrizioni ai Licei classici, come l’asse logico su cui si basa la matematica fosse altra cosa rispetto a quello su cui si basa la traduzione del Greco o del Latino. Le statistiche credo che ci raccontino piuttosto di un innamoramento dilagante per la velocità e la superficialità. Noi inganniamo i nostri giovani se lasciamo credere loro che esistano strade veloci e facili per costruire la loro vita e li inganniamo ancora di più se diamo loro l’idea che devono inseguire solo ciò che ha una utilità visibile agli occhi (il guadagno).


Il sapere gli antichi lo intendevano come unico e ogni disciplina contribuisce a costruire uno sguardo d’insieme sul mondo e su sé stessi


In una delle sue rare interviste televisive rilasciate alla Rai nel 1981, Italo Calvino ci lascia in eredità quelli che per lui sono i Tre talismani per il Duemila. «Imparare poesie a memoria, tenersi sempre allenati a fare calcoli a mano, combattere l’astrattezza del linguaggio con la precisione e ricordare che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro». Parole dette con grande sintesi e pacatezza, pronunciate dopo lunghe pause riflessive di cui sentiamo nostalgia. I Talismani per il futuro non sono forse rinchiusi in una forma unità del sapere, senza graduatorie o scorciatoie?

Ma, dicevamo, e il tema non è nel conteggio delle ore da dedicare alle singole discipline quanto nella visione di insieme, culturalmente approfondita, di cui dovremmo dotare i nostri giovani con l’aggiunta in particolare per le nostre ragazze, di iniezioni di coraggio e consapevolezza. Coraggio di comprendere che la propria femminilità è un valore aggiunto, un modo di essere specifico da mettere in campo al fianco degli uomini, in ogni tipo di professione senza accettare compromessi e con le medesime soddisfazioni economiche.

Secondo un’antica leggenda che ci tramanda Igino, il bibliotecario dell’imperatore Augusto, autore di una raccolta di miti, una giovane ateniese di nome Agnodice, animata dalla passione per la medicina, ma ben sapendo che solo gli uomini potevano praticarla, un giorno si tagliò i capelli, indossò abiti maschili e sotto mentite spoglie frequentò i corsi di un famoso medico.

Imparata la medicina, Agnodice si recava dalle donne per prestare le sue cure.

Gli altri medici, passati in secondo piano, accusarono Agnodice di essere un seduttore di donne che approfittava della sua professione.

Alla giovane, condannata toccò sollevare la tunica per dimostrare di non essere un seduttore incallito. Tutte le donne che aveva curato testimoniarono in suo favore, la giovane fu assolta e da allora anche le donne furono libere di studiare medicina.

Come se Agnodice volesse ricordare a ognuna di noi che per combattere gli stereotipi non occorre travestirsi, basta essere noi stesse. Sempre.

Articolo tratto da Progetto Manager 
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013